Quel che resta della Vlora, dell’accoglienza, e del turismo

L’8 agosto del 1991 il mercantile albanese Vlora attraccava nel porto di Bari, col suo carico brulicante di fuggiaschi albanesi. Autorità cittadine e regionali, col supporto di agenzie di stampa, quotidiani locali e non, e anche alcuni telegiornali hanno commemorato l’evento come una sorta di festa del senso dell’accoglienza oggi perduto. Ma le cose andarono nel modo opposto: gli immigrati vennero prima internati nel vecchio stadio Della Vittoria, e poi rimpatriati in Albania.

Lo stato di salute dei nostri mezzi di informazione deve essere traballante, se la pigrizia impedisce di ricostruire eventi, peraltro clamorosi, accaduti appena venti anni fa. Vediamo dunque come andarono le cose, secondo le cronache dell’epoca. Il Vlora arriva da Durazzo, ha quasi finito il carburante, tenta di attraccare a Brindisi ma viene respinto e si dirige a Bari. A bordo c’è anche gente armata, oltre a immigrati in fuga da 45 anni di regime comunista, giunto ormai alla dissoluzione, con donne e bambini.

Il comandante Halim Milaqui racconta al giornalista di Panorama Antonio Padalino che la sua nave era giunta in porto proveniente da Cuba, piena di zucchero, e le operazioni di scarico non si erano ancora concluse, quando vide avvicinarsi questa marea umana. Allora dà l’ordine di salpare, ma alcuni miliziani, riusciti a salire, gli mettono una lama alla gola, intimandogli di tornare indietro a caricare tutta quella gente. Quanti sono, a bordo? I giornali del 9 agosto 1991 scrivono 11 mila, nelle cronache odierne viene fornita invece la cifra di 20 mila. Quello che è certo è che è uno sciame umano impressionante, e molti si aggrappano persino ai pennoni. Le istantanee sono impressionanti e immortalano anche uomini che, all’arrivo in porto, si gettano in acqua dal bordo della nave.

Alle 11,30 del mattino il fiume umano si riversa sulla banchina. Chiedono pane e acqua. Il Vlora è una latrina maleodorante. La polizia dirotta tutti verso il vecchio stadio di calcio, in attesa del da farsi. Il presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, detta da Roma questa dichiarazione:“Non siamo assolutamente in condizione di accogliere gli albanesi che premono sulle coste italiane e lo stesso governo di Tirana è d’accordo con noi che debbono essere rinviati nella loro nazione”. Allo stadio scoppia la guerriglia. I più giovani divelgono le gradinate e tirano sassi alla polizia. Scontri duri per tre giorni, i più violenti domenica 11 agosto, con 40 feriti tra le forze dell’ordine e un numero imprecisato fra i manifestanti. Gli esuli vengono sfamati e dissetati dal cielo, con sacchi lanciati da elicotteri. Sono scene da Apocalisse.

Grazie al Sindaco Dalfino ed ai baresi. Intanto, viene organizzata la più poderosa operazione di rimpatrio della storia repubblicana. Vi partecipano 11 aerei militari C130 e G222, assieme a tre Super80 dell’Alitalia e a motonavi come la Tiepolo, la Palladio e la Tiziano. All’inizio, molti non sanno che torneranno a casa. “E’ vero che ci portate a Venezia?”, chiede uno all’equipaggio. I rimpatriati furono 17 mila 400, più dei passeggeri effettivi del Vlora perché vennero rimpatriati anche immigrati di altri sbarchi. Rimasero in Italia in 1.500, che avevano fatto domanda di asilo politico. Gianni De Michelis, ministro degli Esteri, volò a Tirana a illustrare un piano di aiuti italiani: 90 miliardi di lire per alimenti, 60 per il decollo industriale, forniture per far riaprire a ottobre le scuole, e cooperazione nell’ordine pubbliche per impedire nuove partenze.

In Parlamento ci furono polemiche sulle brusche modalità, se non brutali, di questa operazione. Questa è la pura verità dei fatti, che nessuno oggi può alterare. Ciò non toglie che, in quegli anni, l’Italia in generale e la Puglia in particolare dessero grandissime prove di accoglienza. Tra Roma e Tirana si stipulerà più tardi un accordo modello, in grado di favorire l’immigrazione regolare di moltissimi albanesi. Ma la storia del Vlora è questa. Cosa rimane oggi di quello sbarco? Una comunità non perfettamente integrata in societa. Con il ruolo di soggiogazione delle donne. Abili solo a partorire. Connivenze con malavita locale e sviluppo di nuovi fenomeni di mafie. Non più tanto nuovi, visto i 32 anni trascorsi. Nonostante tutto, grazie alla sua identità, oggi Bari, non accoglie, ma ospita. 

Un hub turistica di primo livello. Approdo di tanti stranieri che vedono le bellezze del posto e godono dell’arte gastronomica locale. La stessa che è servita a sfamare gli albanesi allora, la stessa che ci distingue nel mondo oggi.   

Giuseppe Romito