Spirito mercantilista e frenesia finanziaria ieri oggi… e domani?

Il principale quotidiano economico e finanziario ha deciso di proporre, durante l’estate, una serie di inserti con uno scopo ben preciso. Ossia, aiutare a capire quale rapporto abbiamo, giovani e meno giovani, con il denaro, le questioni economiche e il risparmio. Il denaro, in realtà, compare nella nostra vita sin da piccoli, nei discorsi che ascoltiamo in famiglia, nelle notizie che apprendiamo in televisione, nonché oggi nei social network, parte integrante della nostra esistenza. In questo ambito, gli esperti hanno scoperto come molti genitori si sentano a disagio e non sufficientemente preparati, quando si tratta di educare i figli ad un buon rapporto con il denaro. Aiutare a sviluppare nei propri figli, in sostanza, un minimo grado di competenze finanziarie.

 

Gli interrogativi nascono innanzitutto nei confronti della famosa paghetta, conviene concederla o negare l’erogazione? Allo stesso tempo, va reputato giusto premiare con denaro i buoni voti a scuola e i lavoretti eseguiti in casa?

 

Siamo propensi a vedere i fattori che influenzano il nostro rapporto con il denaro, incluse infanzia e adolescenza, come un aspetto legato all’odierna società dei consumi. Una società che ci appare frenetica e in continua evoluzione, proiettata su temi, compresi quelli finanziari, effetto di una incombente modernità… ma è proprio così? I nostri antichi trascorsi, invece, ci lasciano parecchio sorpresi.

 

Nell’antica Roma, infatti, affluiva in città una quantità considerevole di denaro, frutto dell’intenso commercio che gli affaristi della capitale, accorti e lungimiranti, sviluppavano con tutti i Paesi all’epoca conosciuti. La supremazia politica e militare di Roma, nei fatti, si traduceva anche nella supremazia economica e finanziaria, con peculiari e inevitabili risvolti interni. Lo spirito mercantile si diffuse talmente da permeare di sé la nazione intera, il desiderio di arricchirsi penetrò in tutte le classi sociali. La conservazione e l’aumento del proprio patrimonio, per i Romani, divenne parte integrante della morale pubblica e privata.

 

Marco Porcio Catone fu un grande uomo di Stato, tanto da elevarsi a modello del Romano risoluto e di antica tempra. I suoi inizi di agricoltore non impedirono lo svolgimento di una brillante carriera politica, fino ad arrivare alla massima carica del consolato. Catone servì i concittadini e la repubblica seguendo i più sani costumi, partecipò da valoroso alla guerra contro Annibale ottenendo la nomina a generale. Si mostrò Intrepido sul campo di battaglia e intrepido anche nel Foro, con la sua parola infuocata e le cognizioni di diritto romano che ne fecero il giureconsulto più capace, il più grande oratore dei suoi tempi.

 

Abbiamo accennato quanto la conservazione e l’aumento del proprio patrimonio fossero diventati per i Romani capisaldi della morale pubblica e privata, ebbene, persino un uomo di rilievo umano e politico come Catone, nei precetti elaborati per il figlio, così asserisce: «Diminuisca pure la sostanza di una vedova; l’uomo deve accrescere la propria, ed è degno di lode e pieno di spirito divino colui, i cui registri, dopo la sua morte dimostreranno che i guadagni fatti hanno superato quelli ereditati». Più chiaro di così…

 

Lo spirito mercantile e l’accentuata mentalità finanziaria, infatti, fecero sì che a Roma nessuno donasse più qualcosa se non vi fosse costretto, nessuno saldasse il più piccolo debito se non prima del giorno della scadenza e pure fra parenti prossimi. Lo rivela nella sua opera lo storico greco Polibio, giunto a Roma quale membro influente della Lega Achea e rimasto poi nella capitale. Tuttavia, va riconosciuto come, a fronte dei distintivi costumi descritti, sono da esaltare caratteri assolutamente di pregio del vivere sociale di quei tempi.

 

La vita dei Romani era fortemente improntata alla puntualità, all’onestà e al rispetto dei patti stipulati, specie nei rapporti commerciali e finanziari. La parola di un uomo di integerrimi costumi era valida non solo contro di lui, ma anche a suo favore, a conferma della fiducia riposta nella persona. Se si dovevano comporre controversie tra gente onesta, spesso si giungeva ad un accordo con un semplice giuramento, richiesto da una delle parti e prestato dall’altra, soluzione ritenuta valida anche di fronte alla legge. Inoltre, una regola di antica tradizione imponeva ai giurati, in mancanza di prove, l’obbligo di pronunciare il proprio giudizio a favore dell’uomo onesto e ai danni dell’uomo di cattiva fama…

 

Largo spazio al dinamismo degli affari, perciò, all’affermazione dello spirito mercantile caposaldo della collettività, ma a far da contrappeso nell’antica Roma vi erano convinzioni e severità morale che oggi ci stupiscono, a fronte degli esasperati caratteri di una speculazione finanziaria e commerciale che non conosce più scrupoli.

 

Francesco Antonio Schiraldi