La coazione a ripetere

“Coazione a ripetere” è un termine impiegato correntemente nella psichiatria descrittiva come in quella dinamica per indicare la tendenza incoercibile dell’individuo, del tutto inconscia, a porsi in situazioni penose o dolorose, senza rendersi conto di averle attivamente determinate né del fatto che si tratta della ripetizione di vecchie esperienze.

L’espressione, per la sua origine medica, per l’uso che ne è sempre stato fatto in ambito strettamente personale e soggettivo non è utilizzabile a livello collettivo e sociale, dove la tendenza di una comunità a replicare gli stessi errori o a cadere nelle medesime disfunzioni rappresenta qualcosa di radicalmente diverso.

In primo luogo, perché è sempre significativa la presenza di agenti esterni, ai cui input, spesso occulti e sotterranei,  si devono principalmente gli accadimenti; in secondo luogo perché si è fuori dall’ambito dell’inconscio: gli errori sono commessi dalla collettività nell’ignoranza delle loro cause e dei loro effetti ma in una consapevole lucidità.

Per quanto riguarda la collettività italiana, quindi, di coazione a ripetere si può parlare solo nel senso improprio e tutt’altro che tecnico, ora precisato.

La freccia nel fianco degli abitanti dello Stivale è sempre lanciata dagli agenti dello spionaggio straniero in combutta con quello nostrano e l’esperienza storica del Risorgimento Ottocentesco (e della guerra di Crimea) nonchè del secondo dopo guerra mondiale  (id est, dal 1945 in poi) dimostra, con incontrovertibile evidenza, che il bersaglio è sempre raggiunto in pieno.

Come ha dimostrato nei suoi scritti Giovanni Fasanella (Golpe Inglese, Colonia Italia, 1861, basati su documenti desecretati e trovati negli archivi di Kew Gardens a Londra), l’Unità d’Italia, contrabbandata nei libri ufficiali di Storia patria come figlia dell’indipendentismo risorgimentale e dell’opera “illuminata” di quattro protagonisti (Vittorio Emanuele II di Savoia, Camillo Benso, conte di Cavour, Giuseppe Garibaldi e Giuseppe Mazzini) è in realtà il prodotto dell’ingerenza determinante britannica (e in parte, anche francese) esercitata efficacemente con il suo servizio di intelligence.

La particolare attenzione della Gran Bretagna per l’Italia non è venuta meno neppure dopo la sconfitta dell’Asse nella seconda guerra mondiale. La strage di Portella della Ginestra ad opera del bandito Giuliano porta la controfirma di James Angleton, uomo di cerniera tra i servizi segreti americani e inglesi. E alle morti di Enrico Mattei e di Aldo Moro nonché all’esilio di Bettino Craxi  non sembra estranea l’esistenza di qualche rotta di collisione con gli interessi anglo-americani.

Anche se non può definirsi “coazione a ripetere” il vezzo (chiamiamolo così) italiano di non voler mai guardare che cosa c’è dietro il paravento, non sarebbe un fuor d’opera darvi un’occhiata di tanto in tanto. Per esempio sarebbe utile chiedersi oggi:

a)    Che cosa ci sia dietro il fenomeno migratorio, con le sue Organizzazioni non governative, inneggianti ai diritti umani (dimenticando Guantanamo e altri genocidi compiuti in circa ottanta anni di guerre) e se esso non corrisponda alla necessità di “destabilizzare” i Paesi del Vecchio Continente a tutto vantaggio di un’ America del Nord e di un’ Inghilterra (non a caso, uscita dalla Unione Europea) che hanno regole e comportamenti ben diversi.

b)    Che cosa ci nasconda la guerra Russo-Ucraina voluta soprattutto dagli Statunitensi e dagli Inglesi e che non porta vantaggi di certo  ai Paesi Europei, costretti a sacrifici e rinunce di cui avrebbero fatto volentieri a meno.

c)    Che cosa comporti l’adesione a un’Unione Europea e a una NATO non a caso legate al filo “Atlantico” che collega Regno Unito e Stati Uniti d’America, “bypassando” gli interessi dell’ansa Mediterranea e perché “la via della Seta” sia stata vietata alla Presidente del Consiglio Italiana, con un  richiamo in America e un avvertimento che ricordano molto quello dato al filo-americano ma anti Europeo e Anti-Nato, Alcide De Gasperi, prima che venisse messo a tacere dai magistrati del Caso Piccioni-Montesi.

Luigi Mazzella