Il febbrone occidentale
Non v’è manifestazione internazionale, riunione a cosiddetto “alto livello politico”, dibattito mass-mediatico su temi non banali di convivenza sociale e collettiva che non dimostri in modo incontrovertibile il degrado e la decomposizione progressiva della vita nell’intero Occidente, dominata dall’irrazionalità e dal caos.
La libertà conquistata, grazie a internet, dall’individuo sui social on line, la diffusione in streaming di prodotti cine televisivi soprattutto “seriali” che sfuggono ai sistemi tradizionali di censura, il dilagare anche sui giornali e sulle reti televisive “dell’ufficialità” di fatti di cronaca aberranti che raccontano di stupri, violenze domestiche, femminicidi, pestaggi selvaggi tra adolescenti (e non solo), di omicidi stradali e di stragi compiute con armi da fuoco da persone alcolizzate o drogate compongono un quadro di aberrazioni che rendono sempre più verosimile e drammatica la previsione di Oswald Spengler sul tramonto dell’Occidente.
E intendendo per esso non solo le due potenze anglosassoni egemoni, vincitrici della seconda guerra mondiale (dopo stermini inenarrabili e crimini atroci contro l’umanità compiuti con il lancio di due bombe atomiche su Hiroshima, e del tutto inutilmente, su Nagasaki) maanche l’ultimo degli Stati Europei (o Sudamericani) vittoriosi o sconfitti in quel medesimo conflitto e quasi tutti nelle mani, per molti anni (e ancora oggi pur sotto parvenze democratiche) di “sostanziali” dittatori cresciuti alla scuola “bipolare” (anche nel senso medico di “schizofrenica”) dell’idealismo tedesco di fine Ottocento e catechizzati da “parroci” o “rabbini” di rozza cultura religiosa.
Il “febbrone Occidentale” è altissimo: tutti lo dicono ma solo pochi ammettono il suo effetto principale e più tragico: la perdita di ogni razionalità nell’agire spasmodico dei suoi abitanti. V’è, naturalmente (come sempre avviene in situazioni analoghe) chi tenta di minimizzarlo e chi descrive con precisione i sintomi, anche meno palesi.
Tutti riescono, però, a discettare soltanto di “pannicelli caldi” per alleviare parzialmente le pene.
Nessuno, in pratica, osa parlare di una “terapia” radicale e risolutiva, perché nessuno ha il coraggio di affrontare con l’uso esclusivo della ragione (di cui pure l’essere umano è dotato) e portare a termine, superando il “benpensantismo” interessato o semplicemente ex ignorantia, la ricerca delle cause che provocano il malanno.
Nessuno, in altre parole, si chiede quali deviazioni nel pensiero degli Occidentali hanno condotto a un trionfo così pieno, nella vita quotidiana, dell’irrazionalità.
Anche la mancanza di uomini capaci di “diagnosi” ha origine nelle stesse cause che provocano la malattia: l’invincibile irrazionalismo s’infiltra in ogni risvolto dell’essere umano e ne determina tutti i comportamenti.
Chiedere la cura del febbrone agli uomini politici e agli economisti equivale a confidare nei paramedici per l’individuazione e la diagnosi di un cancro malefico.
Gli uomini politici, di cultura progressivamente sempre più modesta, e gli economisti, anche bravi, possono apprestare rimedi lenitivi del dolore ma non si possono richiedere loro analisi approfondite e indicazioni delle cause.
Per esempio, gli economisti liberi da condizionamenti politici possono suggerire la flat-tax per un rilancio dell’attività produttiva come hanno fatto con Reagan e con la Thatcher ma non si può chiedere loro di rimuovere il problema degli eventuali divieti posti da Trattati di pace o da ordini perentori delle Potenze egemoniche in Occidente ai Paesi satelliti o para-coloniali.
Dei sociologi (detti da taluno: scienzati del nulla) meglio non parlare.
Le loro “palline colorate” (per usare una terminologia cara a Giuseppe Marotta) descrivono in modo fantasioso ma non spiegano mai alcunchè. Sapere che una società è “liquida” non significa che è salutare berla così com’è e non invece dovere ricercare altrove la solidità.
Come è del tutto logico non chiedere lumi ai quisque de populoche hanno recitato, nella loro infanzia “formativa” (mandandole a memoria) giaculatorie religiose su esseri perfettissimi creatori del cielo (Cosmo) e della Terra, pur con gli avvertimenti degli astrofisici che hanno escluso ogni efficacia creativa del big-bang.
Ancora più difficile riporre fiducia in chi ha cantato eja eja alalàe ha detto di fregarsene della brutta morte, facendo eco al brutto verso dell’inno nazionale “stringiamci a coorte siam pronti alla morte!”.
La cultura della “fine” per una vita migliore è il frutto avvelenato delle religioni e delle filosofie metafisiche che prevedono mondi diversi da quello tangibile e conoscibile.
Anche a chi ha cantato bandiera rossa trionferà,dopo i massacri di Stalin, è meglio non chiedere di indagare per l’individuazione delle cause del “febbrone” e suggerire terapie per curarlo.
Resterebbero i filosofi.
La loro “razza”, però, sembra essersi estinta con Leopardi. Almeno in Italia e fino a prova contraria.
Luigi Mazzella