Armocromia di genere: quando il colore diventa un’etichetta
Alzi la mano chi comprerebbe un corredino color rosa confetto a un maschietto. E chi, lo prenderebbe azzurro per una fanciullina?
Le probabilità sono davvero molto basse. Quasi inesistenti. Eppure fino ai primi anni del XX secolo questa era la consuetudine.
Rosa alle femmine, azzurro ai maschi. L’associazione tra colori e sesso biologico così come è nota oggi risale agli anni 30 del ‘900. Perché no, non “si è sempre fatto così” per citare il titolo del libro di Alessia Dulbecco che si occupa di pedagogia di genere.
Non si è sempre fatto così perché ogni tempo, ogni luogo, è frutto dei condizionamenti e degli stereotipi ad esso associati.
Ed ogni stereotipo è figlio di idee, credenze. Di convinzioni. Che col tempo si sono così radicate nelle società da sembrare assiomi. Che non hanno bisogno di essere mai messi in discussione.
Di rosa vestivano i maschi, prima. Una sfumatura del rosso, che denotava forza e coraggio. E del delicato celeste vestivano le femmine.
Solo 70 anni fa, con una grande operazione di marketing chiamata “Barbie”, l’abbinamento tra rosa e femmine si consolidò. E si è andata radicando sempre più. Fino al punto di etichettare e catalogare con epiteti più o meno sgradevoli chi questa regola non la rispettava.
Allo stesso modo, era difficile incontrare donne che non indossassero la gonna. Perché i pantaloni erano ad appannaggio solo degli uomini. Erano l’espressione della virilità e del lavoro.
I colori, l’apparenza, diventano l’unità con la quale misurare un essere umano. Non contano le capacità, l’empatia, le competenze.
E allora da dove ripartire? Iniziando a riappropriarsi dei propri attributi.
Definire “donna con le palle” una donna che brilla è l’emblema della condizione retrograda ancora in atto.
Una donna che brilla è una “donna con le ovaie”. L’attribuzione del maschile alle donne di successo è l’espressione plateale che Barbie può essere tutto ciò che vuole. Ma a circoscritte condizioni. Ken può essere solo Ken. Ma in qualsiasi modo egli voglia.
Lucia Ricchitelli