Immigrazione: qualcuno ha una idea?
I primi decenni degli anni 2000 saranno ricordati per secoli nella storia della umanità per nuove consapevolezze e vecchie contraddizioni.
La paura atavica della mancanza di cibo e risorse primarie (che aumentano sempre più aumentando le esigenze) paralizza sempre più la capacità decisionale dei governi che, a loro volta, sono sotto scacco dei grandi poteri finanziari.
Questa è la visione “semplificata” dello stato attuale in cui viviamo. Ma per capire come eventualmente (dico eventualmente perché forse non c’è nemmeno un “comune sentire” di questa esigenza) uscire da questo vortice pericoloso per la nostra esistenza stessa, se non fisica, certamente culturale, bisogna capire e sapere alcuni presupposti fondamentali.
Partiamo dall’aumento demografico della popolazione mondiale: Nell’800 il pianeta Terra contava circa un miliardo di persone, nei primi anni del ‘900 eravamo già circa due miliardi e, nonostante le terribili guerre del XX secolo, nel 2000 eravamo 6 miliardi e nel 2011 ben 7 miliardi.
In questo momento, nonostante l’esplosione demografica del millennio scorso sia in decrescita, stiamo galoppando con una media di crescita planetaria di 75-80 milioni di abitanti/anno.
Per completare i dati vediamo la distribuzione dei nascituri nel Mondo: Nel 1950 la media della fertilità femminile era di circa 5 figli per donna, nel 2005 già dimezzato a 2,5. Questo ha portato a un invecchiamento della popolazione terrestre da 22 anni nel 1975 a 27 anni nel 2005 con una previsione di 37 nel 2050.
Salta all’occhio però che mentre nei paesi ricchi l’età media è di circa 39 anni, nei Paesi in via di sviluppo è circa di 25, 18 anni in Africa.
L’Italia in questo momento ha una demografia di -0.01/anno con una media d 1,2 figli per donna mentre l’Africa e Medio Oriente da circa il 3% con punte di + 6.5% di aumento della popolazione.
Da qui l’evidenza che l’aumento demografico è inversamente proporzionale al PIL.
Altra evidenza è che le guerre non contribuiscono a calmierare l’aumento della popolazione mondiale bensì all’invecchiamento della stessa, essendo quelli ammazzati i maschi in giovane età, non le donne e i vecchi che solo negli ultimi decenni partecipano sempre più a questa triste statistica ma sempre in minima parte.
Sembrerebbe a questo punto inevitabile la compensazione migratoria di ricambio etnico in corso attualmente dall’Africa verso l’Europa così sponsorizzata (a parole) da una certa ideologia politica e accettata da Bruxelles visto l’invecchiamento record del Continente Europeo.
Al grido “gli africani ci pagheranno la pensione” una sconsiderata politica migratoria sembra non tenere conto di fattori di primari e di vitale importanza che qui voglio elencare in maniera sintetica:
1 L’Europa è il Continente più piccolo con il maggior flusso migratorio da sempre di cui l’Italia è la prima a riceverlo.
2 L’Europa è il Continente tra i più evoluti tecnologicamente che riceve migrazione di bassa capacità tecnologica e culturale (in senso sociale occidentale)
3 L’Europa è il Continente che ha il maggior sbilanciamento di flusso migratorio con i vicini continenti africani e asiatici.
4 La politica di alcuni paesi europei è stata ed è di discriminare e selezionare i migranti accettando quelli più evoluti e capaci ad apprendere o erogare servizi alle società dei Paesi accoglienti; l’Italia no.
Questa è una fotografia della situazione attuale, non una opinione, che evidenzia un duplice sbilanciamento, in senso quantitativo e qualitativo rispetto ai Paesi vicini.
Chi contesta questi dati di fatto spesso solleva l’accusa di sovranismo o addirittura di cecità di visione del futuro sottolineando l’inequivocabile invecchiamento e diminuzione della popolazione italiana glissando sul fatto che l’attuale “accoglienza” propagandata da chi la sostiene, ha portato a centinaia di migliaia di persone assolutamente emarginate e ghettizzate dalla nostra società a discapito della loro dignità, della sicurezza sociale e qualità di vita di tutti, e questo non per il razzismo insito negl’italiani, come qualcuno subdolamente afferma, bensì per un normale processo di reazione della popolazione autoctona che vive il disagio causato da persone non integrate, spesso esasperate e quindi violente.
Non ultimo, lo sbilanciamento culturale/tecnologico dei “nuovi italiani” sta impoverendo anche il nostro sistema formativo che si deve adeguare a uno standard più basso che quindi trascinerà sempre più i nostri giovani fuori dalla competitività internazionale.
Le soluzioni non sembrano facili ma invece sono semplici. Certo vanno in contrasto con la demagogia ideologica che sponsorizza “l’accoglienza” attuale che, più che un servizio sociale, è diventata uno dei più grossi business a spese dello Stato e contro un populismo europeista falso come la cecità (voluta?) di chi la sostiene.
Qualche esempio?
Calmierare i flussi migratori in territorio italiano attuando la legge europea che ci delega quale Paese di prima accoglienza e riconoscimento del migrante che, se non proveniente da Paesi in guerra o in carestia, non deve essere accolto (ed è quello che sta cercando di fare questo governo).
Le Cooperative e Centri di accoglienza verranno riconosciute e pagate in quanto tali SOLO se espleteranno i servizi già contemplati attualmente e collegati a un sistema integrato di formazione e inclusione preparatorio e propedeutico poi all’ entrata nella nostra società (non molto diverso, ma sicuramente più umano, a quello riservato ai nostri migranti in America negli anni’ 20 e ’30 del secolo precedente.
Ritorsioni economiche e diplomatiche se i Paesi UE non faranno la loro parte in modo equo e non discriminante. Per chi pensa che l’Italia non ha la possibilità di esigerle, faccio presente che, nonostante negli ultimi 30 anni, l’Europa ha avuto la forza e la volontà di portarci da G4 a G7 come potenza economica mondiale, siamo un Paese fondamentale per la sopravvivenza della UE, non solo come finanziatore (nel 2020 abbiamo versato 18.2 Miliardi alla UE ) ma anche come consumatore e la crisi attuale della Germania lo dimostra (tra poco anche la Francia con la perdita delle sue “colonie” africane) di cui una delle cause è proprio la diminuzione d’importazione dei prodotti tedeschi in seguito alla nostra perdurante crisi economica conseguente, anche, alla cieca e ottusa politica di austerità voluta proprio dalla Germania stessa.
Riamando al mittente la eventuale faziosa accusa di nazionalismo perché è evidente, da quanto ho evidenziato, che in un Mondo (volente o nolente) globalizzato è impensabile una politica isolazionista anziché integrata europeista se non addirittura mondialista. Chi non capisce questo non può e non deve fare politica.
Diversa è la difesa della propria identità sociale, culturale ed economica che è necessaria anche in un graduale, ma inevitabile, cambiamento della nostra società.
Invito, per l’ennesima volta, alla comprensione etimologica del concetto di “sovranismo” dal quale, in modo ridicolo e trasversale, molti prendono le distanze probabilmente non conoscendone il significato. Il Sovranismo tende a mantenere la sovranità sulle politiche ed economiche interne e le politiche sociali, differisce dal nazionalismo che tende invece ad avere un pensiero, se non prevaricatore, di superiorità della propria Nazione superiore alle altre. I 51 Stati Federali USA ne sono una dimostrazione lampante che coesistono seguendo leggi guida nazionali ma con politiche economiche e sociali interne diverse
Siamo tutti (più o meno) convinti che il processo di globalizzazione è inarrestabile e che la civiltà cambierà, come d’altronde è sempre successo.
Sta alla politica, quella vera, a guidarne il processo cercando di ammortizzare i traumi che, inevitabilmente, ogni cambiamento crea.
Per fare questo ci vogliono persone capaci non in cerca di consensi ma in grado di organizzare e gestire questi processi che incidono profondamente nella vita della gente. Se si riporta il principio guida della politica nel miglioramento della qualità della vita e nel rispetto della dignità e centralità dell’individuo (come sancito dalla nostra Costituzione), ecco che tutto cambia e tutto diventa di più facile comprensione per gestire al meglio i cambiamenti.
Massimo Gardelli