Dei delitti e della pena
Quando Cesare Beccaria scrisse il suo volumetto, la storia d’Italia (come Nazione) non esisteva ancora, il Paese sarebbe nato dopo un secolo circa e si era nel pieno dell’Illuminismo (tanto è vero che fu molto apprezzato dagli illuministi stranieri, soprattutto in Francia).
Nel 1766 il libro venne incluso nell’indice dei libri proibiti a causa della sua distinzione tra reato e peccato: “Le precedenti riflessioni mi danno il diritto di asserire che l’unica vera misura dei delitti è il danno fatto alla nazione, e però errano coloro che credettero vera misura dei delitti l’intenzione di chi gli commette. Questa dipende dalla impressione attuale degli oggetti e dalla precedente disposizione della mente”.
Beccaria affermava che il reato è un danno alla società e quindi all’utilità comune che si esprime come idea nata dal rapporto fra uomini, dall’urto delle opposizioni delle passioni e degli interessi (chiaro riferimento alla teoria contrattualistica alla Rousseau, che vede nella società una sommatoria e un deposito delle libertà particolari alle quali per una parte l’uomo rinuncia per uscire dallo “stato di natura”); il peccato invece, si costituisce come un reato che l’uomo compie nei confronti di Dio, che quindi può essere giudicabile e condannabile solo dallo stesso “Essere perfetto e creatore”, confinato dallo scrittore ad un ambito puramente metafisico (cit. Wikipedia)
Si apre, così, la stagione della contrapposizione fra Ragione e Religione, che si trasformerà nel corso degli anni, sino alla definizione marxiana “dell’oppio dei popoli”, quale vero strumento di oppressione e controllo delle classi subalterne a quelle dominanti: attraverso la religione, il proletariato è consolato nelle sue sofferenze che solo un mutamento dei rapporti di potere potrebbe risolvere.
E, tuttavia, questa dicotomia avrebbe ancora oggi un senso, se la parola Ragione e la parola Religione non fossero state sostituite dalle parole Potere ed Economia.
La fase della democrazia rappresentativa deve intendersi cessata, se si guarda alle scarsissime percentuali di partecipazione attiva degli aventi diritto al voto, non solo in Italia, ma in quasi tutti i Paesi occidentali.
La Democrazia ha in sé una mediazione inconciliabile fra rappresentanza e rappresentatività, fra Popolo e Istituzioni: il meccanismo apparentemente liberale, si è coniugato in una struttura gerarchicamente subordinata all’Economia.
Il vero centro decisionale non è più in una qualsiasi assemblea comunque eletta, bensì nelle sale riunioni dei grandi centri del potere economico, della finanza reale e virtuale.
La Politica è divenuta il “servo sciocco” delle Lobby, degli interessi (non) diffusi che spingono verso una cartolarizzazione di ogni forma di investimento più o meno libero o autonomo, per assorbirne le energie e lasciare solamente l’idea del “libero mercato”.
Quando vediamo scene di guerra o ascoltiamo proclami il nostro spirito critico viene sedotto dall’immagine o dalla parola, mentre quella che si svolge sotto i nostri occhi è solo una “funzione” dell’economia: la guerra serve a pochi soggetti per la loro esaltazione economica e mentre le persone muoiono in nome di una idea di Stato, sui loro cadaveri si costruiscono imperi, ormai senza colore politico, senza ideologie, senza umanità. Perché la guerra – sempre orribile ed ingiusta – perde la possibilità di scendere sul piano umano, legata agli algoritmi finanziari.
Quello che potrebbe accadere è la nuova distruzione di Sodoma, come raccontato dalla Bibbia: è un racconto eziologico, che cioè “spiega” la ragione per cui quel territorio attorno al Mar Morto (non è un caso?) fosse e sia tuttora così desolato. Sodoma, ormai, è tutto ciò che l’Uomo riesce ad edificare e distruggere, è una allegoria di morte e perdizione, di cui l’aspetto reale è solo specchio della sconfitta dell’Umanità.
Rocco Suma