Amore o lavoro non pagato?

“Quando prendi un giocatore è come una fidanzata. Pensi sia quella giusta, la porti a cena ma poi capisci strada facendo, quando te la metti in casa, che non va bene, che non fa da mangiare, non lava, non stira”. Così il direttore sportivo della Juventus, Cristiano Giuntoli, si esprimeva sul palco del Festival dello Sport di Trento.

Al tempo dei social e dell’infodemia, è stata davvero una frase coraggiosa quella detta dal direttore sportivo.

Perché in un periodo storico in cui si cerca di cambiare rotta sulla visione patriarcale del mondo, arriva un Giuntoli che guasta tutto.

C’è un Giuntoli in ogni famiglia, e in ogni gruppo sociale. Anche più d’uno.

Questa credenza così radicata non è altro che frutto di un rapporto di potere per il quale, per una parte che detiene il potere ce n’è un’altra che lo subisce.

E ognuno intuisca dove collocare l’uomo e la donna in questa categorizzazione.

La casalinga che con amore si occupa del marito, delle faccende domestiche e, se ci sono, anche dei figli, ha l’esigenza interiore di raccogliere calzini sporchi. Ha l’esigenza interiore di servire fisicamente, emotivamente il maschio.

Secondo questa cultura, quella del potere maschilista, il lavoro domestico è una vocazione. Un talento. “Un’attività naturale, inevitabile e persino gratificante”.

È la tendenza, largamente diffusa in italia, per cui tutte le attività di cura sono a carico delle donne. Le donne sono più brave nei lavori domestici. Direbbero i più, conservatori maschilisti patriarcali. E sono così convinti di questo tanto quanto sono convinti del fatto che alle donne piace questa loro condizione di sfruttamento e schiavismo. Perché di questo si tratta.

Per arrivare a scardinare questa visione stereotipata del ruolo della donna bisogna partire da una presa di coscienza quale “la condizione del lavoro domestico non pagato è stata la più potente arma per rafforzare la comune opinione che il lavoro domestico non è lavoro”.

E se qualcuna obiettasse dicendo che si sente in dovere di essere “cameriera, prostituta, infermiera” di quel maschio che lavora e porta i soldi a casa, Silvia Federici, filosofa e attivista per la parità di genere  risponderebbe “e cosa te ne fai di due spiccioli in più quando vivi una vita di merda?”.

È con questa suggestione che si chiude questo articolo. La cui stesura è stata resa possibile grazie al documento del collettivo femminista napoletano per il salario al lavoro domestico.

Redatto proprio da Silvia Federici nel lontano 1974. E da allora nulla, o poco è davvero cambiato.

Lucia Ricchitelli